Sei proprio il mio Typo

Sei proprio il mio Typo Book Cover Sei proprio il mio Typo
Simon Garfield
Saggio, Comunicazione
Ponte alle Grazie
2014
Copertina flessibile
356

Pressoché sconosciute fino a vent'anni fa, grazie all'avvento della tecnologia informatica oggi le font sono a tutti gli effetti protagoniste del nostro quotidiano. Ma quali sono state le tappe che le hanno portate a uscire dalla ristretta cerchia di addetti ai lavori e di qualche sparuto appassionato? La risposta è in questo saggio di Simon Garfield, che rappresenta un autentico compendio della secolare storia della tipografia, da Gutenberg ai giorni nostri, che conta oltre centomila tra font e caratteri tipografici, ognuno con le sue peculiarità e le sue alterne fortune.

Condito di divertenti aneddoti sul design delle parole intorno a noi, Sei proprio il mio Typo impone come testo di riferimento per quanti desiderano conoscere l'affascinante mondo delle font che, come sottolinea l'autore, non sono il semplice disegno di lettere dell'alfabeto, ma costituiscono un vero e proprio veicolo di emozioni.
E, come vedremo, è proprio in virtù di questa loro innata capacità comunicativa che, in molti casi, sono finite per diventare icone universalmente riconoscibili, scolpite per sempre, nel bene e nel male, nell'immaginario collettivo di ogni epoca e latitudine.

Buon venerdì lettori! Come già detto nei due post precedenti, questo mese il tema del blog è il giornale e oggi vi scrivo per consigliarvi un libro.

Font: cosa nascondono?

Per la mia rubrica #LibriATema, ho deciso di proporvi “Sei proprio il mio typo – la vita segreta dei caratteri tipografici” di Simon Garfield, giornalista e autore britannico.

Si tratta di un volume di 364 pagine che racconta la storia dei font, partendo da Gutemberg per arrivare fino all’utilizzo dei caratteri tipografici in larga scala: al giorno d’oggi i font e caratteri tipografici conosciuti e utilizzati, sia su supporti cartacei e sia digitali, sono più di centomila ed ognuno ha delle caratteristiche proprie, uno stile in grado di trasmettere sensazioni.

Ogni font può essere più o meno adatto per un determinato settore (food, design, abbigliamento, sport e così via), ed è proprio questo il motivo per cui i font sono determinanti nella comunicazione visiva.

Tornando al libro, “Sei proprio il mio typo” è scritto in modo scorrevole, suddiviso in più parti, e può essere apprezzato anche da chi volesse leggerlo solo per curiosità e non necessariamente per sfruttare i font a scopo commerciale. Oltre agli aspetti tecnici sulla “vita segreta” dei font, il libro contiene alcuni aneddoti divertenti come la storia del Comic Sans (utilizzato per da molti e odiato da altrettanti!).

Lo consiglio assolutamente: ☆☆☆☆☆/5


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Grafica / Il giornale e i suoi font

Il tema di questo mese è il giornale, quindi: qualcuno di voi si è mai fermato a pensare ai caratteri che vengono utilizzati per la stampa? Probabilmente no,  ma potrebbe essere interessante scoprire qualcosa in più sulla vita segreta che sta dietro ai caratteri che vediamo ogni giorno.

I font sul giornale: storia e caratteristiche in breve

I più utilizzati sono il Benton, Times New Roman e Arial, il Garamond e, ovviamente, l’Helvetica. In particolare su questo font ho trovato una storiella interessante riportata su un articolo de La Stampa, cito testualmente:

“…se provate a fare come Cyrus Highsmith, vi troverete di sicuro nei guai. Alcuni anni fa questo disegnatore di caratteri newyorkese decise di passare un giorno senza incontrare l’Helvetica, uno dei caratteri più diffusi al mondo. Disegnato nel 1957, è versatile, senza grazie, sobrio e leggibile, buono per tutti gli usi e soprattutto coetaneo di due importanti fenomeni del XX secolo: i viaggi di massa e il consumismo. Appena alzato Cyrus non riesce a vestirsi con i soliti indumenti: le istruzioni di lavaggio sono scritte in Helvetica; trova solo una tuta militare e una vecchia T-shirt; a colazione è costretto a bere tè giapponese e a mangiare frutta fresca; non può leggere il New York Times o salire sulla metropolitana; per fortuna trova un autobus senza. Per mangiare va dritto a Chinatown; sul computer apre la tendina e cerca un altro carattere, ma poi non riuscirà a navigare nel web; così fatica con le banconote e non usa la carta di credito. A sera, al ritorno, rinuncia al televisore, perché i comandi sono in Helvetica, sceglie un volume composto in Electra, e infine si addormenta.”

Il motivo di tutte le difficoltà che ha incontrato Cyrus durante il suo esperimento è semplice: l’Helvetica, come pochi altri caratteri è entrato a far parte del mondo che ci circonda grazie alla sua leggibilità e chiarezza. L’Univers è stato l’unico font ad avere quasi la stessa diffusione.

In quanto a caratteri molto utilizzati per la stampa in larga scala, non si può non citare il Futura (disegnato da Paul Renner nel 1924), e poi il Georgia e il Verdana, ma a questo punto si passa alla video-scrittura e ai giornali on-line.

Detto questo, noi amanti della carta stampata, dovremo rassegnarci a non poter evitare di incontrare alcuni font, proprio come è successo a Cyrus Highsmith.


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Il primo giornale stampato: Curiosità

Giornale: una storia in breve

Al giorno d’oggi i giornali sono un mezzo di comunicazione ovvio e disponibile a tutti in molteplici versioni. I giornali vengono stampati in serie e pubblicati a livello locale, regionale, nazionale o mondiale. Esistono giornali di sport, politica, attualità, cultura generale e così via. Ma come è nato il primo giornale?

Va precisato che per giornale si intende una pubblicazione periodica di notizie, critiche e informazioni allo scopo di informare il pubblico. Il nome giornale deriva dalla parola “giorno”, a causa della sua frequenza di pubblicazione iniziale, ormai non così determinante: esistono, infatti, giornali a pubblicazione giornaliera, settimanale o mensile.

Ormai i giornali nella loro forma stampata sono apprezzati solo più dai veri appassionati o da chi ha la “cultura” o l’abitudine del giornale al mattino o alla sera ma, per la maggior parte, i giornali sono consultabili on-line.

Ma torniamo alla storia: il primo giornale stampato fece la sua comparsa a Strasburgo nel 1609, redatto in lingua tedesca, era una sorta di resoconto d’informazione (era infatti intitolato “Relation aller Fürnemmen und gedenckwürdigen Historien” – cioè “Resoconto di tutte le notizie importanti e memorabili”).

Era diverso dai fogli d’informazione noti fino ad allora proprio per la sua frequenza di stampa – una o due volte alla settimana.

In Italia il primo giornale è stato pubblicato nel 1936, a Firenze. Successivamente sono comparsi i primi settimanali anche a Roma, Genova e Bologna, per poi diffondersi nel resto del Paese.

 


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La psicologia del colore nel cinema

Il colore è la base della percezione del mondo che circonda sotto l’aspetto visivo: influisce sulle emozioni, sulle opinioni e sulle sensazioni che stanno dietro un’immagine. Il cromatismo è un vero e proprio linguaggio visivo: social media, pubblicità, stampa e televisione sfruttano questo linguaggio al massimo, per trasmettere allo spettatore un messaggio ben preciso (solitamente con l’intenzione di portarlo a compiere un’azione finale).

Nel cinema il colore definisce un genere o identifica un regista, una serie, e così via. Molti dei film che hanno fatto la storia, basano il loro successo proprio sul colore: Shindler’s List, Sin City, The Revenant, Inception, Moulin Rouge, It, ecc. Alcuni registi sono riconoscibili proprio grazie ai colori: Tim Burton, Guillermo Del Toro.

Australia

Regia: Baz Luhrmann
Genere: storico, drammatico, sentimentale

Trama: Ambientato nell’Australia settentrionale alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale, il film racconta le vicende di un’aristocratica inglese di nome Sarah (Nicole Kidman) che eredita un ranch. Quando i magnati del bestiame inglesi tentano di impadronirsi della sua terra costringendola a vendere il ranch, unisce le sue forze a quelle di un rude mandriano – Drover – (Hugh Jackman) per condurre 2000 capi di bestiame attraverso centinaia di chilometri di terra desolata. La guerra è ormai alle porte e complica ulteriormente la situazione: Sarah, Drover e il piccolo Nullah lotteranno con tutte le forze per la loro terra.

Colori: le scene dei questo film sono quali completamente realizzate con colori caldi e scuri, trasmettono un senso di “calore” nonostante il clima di guerra e aiutano a sottolineare l’ambiente e il periodo storico in cui si svolge la vicenda.

Avatar

RegiaJames Cameron
Genere: fantascienza

Trama: la storia è ambientata principalmente su Pandora, luna del gigante gassoso Polifemo, su cui una compagnia interstellare terrestre ha interessi economici su un cristallo ferroso presente in grandi quantità nella terra dei Na’vi. Gli esseri umani devono indossare delle maschere filtranti se vogliono atterrare su di essa. Proprio per questo motivo, gli studiosi hanno messo a punto degli avatar, vale a dire dei corpi genetici ibridi, a metà tra i Na’vi e gli umani. Jake Sully è uno degli ex-marine che si prestano a questo servizio (è rimasto invalido e intende utilizzare la ricompensa per pagare un’operazione che gli farà acquisire nuovamente l’utilizzo delle gambe). Mentre si trova in missione, però, entra in simbiosi con la popolazione Na’vi e scopre che in realtà la missione non è innocua come volevano fargli credere: aiuterà i Na’vi nella guerra per cacciare il genere umano da questo fantastico mondo. Jake sposerà una Na’vi e lascerà per sempre il suo corpo umano per rimanere nel suo Avatar.

Colori: Blu e azzurro in tutte le loro tonalità, verde, arancio e rosa, colori vivaci. Colori tipici del genere Sci-Fi e tecnologico, con l’aggiunta di colori molto vivaci a caratterizzare il mondo Na’vi, per trasmettere allo spettatore la spettacolarità di un ambiente incontaminato, mettendolo a confronto con la crudeltà che il genere umano è in grado di dimostrare.

A Nightmare on Elm Street

Regia: Samuel Bayer
Genere: Horror

Trama: Dean, uno studente, sta avendo strani incubi. Ne ha parlato con uno specialista che ritiene tutto nasca da quello che gli è successo da piccolo. La sua fidanzata Kris lo tranquillizza: in fondo sono solo incubi. Dean però crede che siano reali e, sotto gli occhi increduli di Nancy, sembra tagliarsi la gola da solo. Ma a tagliargliela è l’uomo nero dei suoi incubi, Freddy Krueger. Nancy, amica di Dean, crede di sapere di cosa si tratti, ma i suoi amici non vogliono sentirne parlare. C’è qualcosa di misterioso nel loro passato, qualcosa che non ricordano e che i loro genitori, interrogati, negano. Un altro del gruppo, Jesse, è testimone della truculenta morte di Kris durante un incubo ed è accusato dell’omicidio. Rinchiuso in cella, viene a sua volta macellato da Krueger mentre dorme. Nancy e il suo amico Quentin, gli ultimi rimasti, sanno che devono fare qualcosa se vogliono evitare di essere i prossimi della lista.

Colori: Il film in questione è il remake del 2010, molti sostengono che sia migliore l’originale. Sotto l’aspetto cromatico ha poca importanza, gli horror sono definiti sempre e comunque da due colori: rosso e nero. Il nero mette paura, angoscia, tristezza. Il rosso spaventa e richiama l’attenzione sui dettagli. I toni del grigio e del marrone sono solitamente aggiunti per creare un’atmosfera cupa.

The imitation game

Regia: Morten Tyldum
Genere: Drammatico, storico

Trama: La Seconda Guerra Mondiale sta affliggendo l’Europa e il brillante matematico Alan Turing, si mette a disposizione del governo della Gran Bretagna: dovrà creare una macchina – chiamata Enigma – in grado di decifrare i messaggi in codice inviati dai nazisti. Ad aiutarlo in questo arduo compito alcuni compagni di studio e il capo dell’MI6. Dopo svariati tentativi Alan riesce a decodificare i messaggi che venivano inviati sotto forma di bollettino meteo e ad evitare ulteriori attacchi nazisti. Successivamente Alan viene condannato perché omosessuale e costretto alla castrazione chimica. Sarà sempre più isolato a depresso, fino al suicidio all’età di 41 anni.

Colori: Si tratta fondamentalmente di un film storico e, come tutti i film di questo genere, si basa sui toni del grigio o del marrone. In particolare questo film è girato completamente con toni scuri, a sottolineare l’atmosfera cupa e malinconica del periodo di guerra.

Come è nata la grafica italiana

Questo è il mio primo articolo dedicato ai libri ed è anche il primo articolo di questa rubrica parlerà della storia della grafica italiana o, più precisamente, di come è nata.

L’idea è quella dei #LibriATema. Scriverò articoli che parlano di un solo testo o di una raccolta che comprende testi riguardanti lo stesso argomento. Ovviamente sceglierò testi che in qualche modo si possano ricondurre al mondo dell’immagine in una delle sue forme (per esempio: grafica, design, arte e poi moda, fumetto, fotografia). Fatemi sapere cosa ne pensate nei commenti o su Instagram.

La storia della grafica italiana è un susseguirsi di vicende e protagonisti che hanno influenzato la grafica nel mondo occidentale e non solo. Sicuramente la massima espressione degli artisti nel campo della grafica è avvenuta nel periodo del secondo dopoguerra, quando il “graphic design” è diventato un lavoro a tutti gli effetti anche in Italia.

Tuttavia, prima di questo momento, vale la pena di ricordare almeno tre passaggi importanti:

  • seconda metà dell’800/inizi del ‘900: è il periodo dei cartellonisti, con influenze dello stile Liberty e Déco, delle avanguardie artistiche e del Novecento.
  • il Futurismo e la “Rivoluzione Tipografica”, che inizialmente hanno incontrato una certa resistenza da parte dei tradizionalisti, ma hanno aperto le porte ad una vera e propria rivoluzione tipografica che sfocerà nel Secondo Futurismo, con Carboni, Grignani e Munari.
  • gli anni ’30: sono gli anni dell’astrattismo razionalista, influenzato dalle avanguardie europee.

Ed è proprio in questi anni che si creano le basi per lo sviluppo della grafica italiana: nasce a Milano negli anni ’30 la figura del progettista grafico. Il capoluogo lombardo era, infatti, un punto geografico strategico per assimilare le influenze europee e svilupparle nei primi uffici pubblicitari.

Nel 1933 in particolare, accadono a Milano una serie di eventi che determineranno il futuro della grafica italiana. Alla V Triennale viene presentata una raccolta di lavori dei maggiori esponenti della Nuova tipografia, curata da Paul Renner – progettista del Futura, uno dei font più influenti del modernismo (eh si, è il mio font preferito!). Edoardo persico presenta la rivista “Casabella” in una nuova veste editoriale e nello stesso anno esordisce “Campo Grafico”, una rivista redatta da un gruppo di tipografi d’avanguardia.

In questi anni inoltre viene introdotta la fotografia come elemento fondamentale della grafica, il carattere tipografico assume un ruolo determinante e viene utilizzato in modo plastico ed espressivo, il colore viene usato con moderazione ed, infine, la composizione è basata sull’equilibrio degli elementi.

Successivamente la grafica italiana si sviluppa maggiormente nel nord del Paese, tra Milano, Torino e Genova. Queste tre città erano le più sviluppate economicamente e culturalmente: nel secondo dopoguerra le aziende hanno cominciato a ricostruirsi e rimodernarsi, puntando molto sull’immagine e sull’impressione sul consumatore (basti pensare ai manifesti della Fiat 500, o della Olivetti).
Inoltre queste città ospitavano intellettuali e studiosi italiani e non solo: questo ha reso possibile un collaborazione tra intellettuali e progettisti grafici con l’intenzione di democratizzare la cultura.

In seguito è stato un percorso in ascesa: lo stile italiano è diventato inconfondibile, il design “made in Italy” continua a fare tendenza e scuola in tutto il mondo.

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#LibriATema:

  1. Grafica italiana dal 1945 a oggi | Carlo Vinti – edito da Giunti (artedossier): ☆☆☆☆☆/5 – molto interessante, scorrevole e dettagliato;
  2. Design italiano del XX secolo | Aldo Colonetti – ☆☆☆☆☆/5 – ottimo e assolutamente consigliato agli appassionati del genere.

Altri articoli: Grafica

Il colore nella storia

Oggi parliamo di colore nella storia.

Non si può pensare ad un evento, un periodo o un personaggio storico senza pensare al colore. Il colore fa parte della storia dell’uomo sin dai tempi più remoti, quando venivano rappresentate scene di caccia sulle pareti delle caverne.

I primo colori conosciuti ed utilizzati per simboleggiare qualcosa sono stati quelli riconducibili ad elementi presenti in natura: rosso-sangue, giallo-sole, verde-alberi, blu-cielo.

Con il passare del tempo e con il mutarsi della cultura umana, i colori assumono significati diversi: gli antichi Egizi utilizzavano spesso il giallo e il blu, sempre in riferimento al sole e all’acqua, due elementi fondamentali per questo popolo.

I Greci utilizzarono principalmente quattro colori per sintetizzare ciò che per loro era essenziale: nero-terra, verde-acqua, rosso-fuoco, bianco-aria, cioè i quattro elementi.

Potremmo analizzare ogni singola civiltà ed il risultato sarebbe uno solo: non esiste alcuna civiltà che non abbia utilizzato il colore in associazione ad elementi artistici, religiosi, politici.

Punto in comune per tutte le civiltà passate ed presenti è la triade bianco-nero-rosso. Questi colori mantengono un’importanza rilevante in ogni cultura, ma assumono significati diversi.

In occidente in nero è il male assoluto, il bianco è il bene, il rosso è nel mezzo. Anche le fiabe più famose nella cultura occidentale, sfruttano questa triade: Cappuccetto Rosso porta delle focacce bianche alla nonna vestita di nero; Biancaneve (bianca come la neve, appunto) mangia una mela rossa offertale da una strega dal mantello nero. Lo stesso personaggio di Biancaneve racchiude i tre colori: pelle bianca, guance rosse, capelli neri.

In Occidente la sequenza è quindi: bianco-rosso-nero, il nero è l’ultimo colore, il più scuro oltre il quale non c’è nulla.
In Oriente invece la sequenza è: bianco-nero-rosso, è quindi il rosso il colore superlativo, oltre il quale non c’è nulla (per esempio nelle principali arti marziali il rosso è il colore del decimo dan, il massimo).

I colori sono talmente impressi nella storia dell’uomo da poter esercitare una forza psicologica non indifferente: tutto nel mondo moderno fa riferimento al colore, basti pensare al rosso e al verde. Rosso: pericolo, azione scorretta, divieto, male. Verde: tranquillità, sicurezza, salute, bene.

Max Luscher (1923-2017) è stato uno psicoterapeuta, sociologo e filosofo svizzero. Ha creato un test che si utilizza il colore per definire lo stato psicologico di un soggetto. Il test comprende 7 tavole di colori, contenenti 23 tonalità diverse, tra le quali il soggetto dovrà esprimere delle preferenze: la scelta sarà condizionata dallo stato psichico e fisiologico della persona. Il numero di combinazioni possibili è altissimo e il risultato del test è dato dalle relazioni tra queste combinazioni, che faranno emergere l’individualità del soggetto.

Arriviamo così ai giorni nostri. Oggi la psicologia dei colori è una scienza a tutti gli effetti e viene applicata in molti settori: lavoro, salute, moda, pubblicità. In particolar modo nel campo pubblicitario, lo studio del colore e degli effetti che può avere sul consumatore/cliente è molto importante. Alcuni colori possono attrarre o respingere, di conseguenza influenzare la scelta o l’acquisto di un prodotto. Inoltre è molto importante considerare il target di riferimento: supermercati e boutique usano colori nettamente diversi.

Certo è che i colori più utilizzati in assoluto rimangono gli stessi di centinaia di anni fa: rosso, nero, bianco, e poi verde e blu


Altri articoli: MUSEO ASTRATTO

Occhio al colore!

Oggi parliamo di colore… il colore nella moda.

Che cosa sarebbe la moda senza colore? Nulla. La moda è fatta di colore. Si, anche di forme, stili, pattern, materiali ma, principalmente di colore, a tal punto che i colori son diventati icone di stilisti, case di moda e designer. Un esempio? il verde acqua… o azzurro Tiffany? Per non parlare del Rosso Valentino.

Il rosso, per esempio, è un colore primario ed è da sempre associato all’amore e alla passione.

Il bianco e il nero sono i “non colori”: sono in realtà la quantità di luce che l’occhio riesce a percepire.

Il bianco è l’origine di tutti i colori, mentre il nero è la “fine” di tutti. Colori alla base della moda di qualsiasi periodo storico si voglia considerare: intramontabili. Il bianco è simbolo di purezza e di perfezione, il nero invece è simbolo di eleganza e potere.

Maestra del bianco e nero è senza dubbio Coco Chanel, che ha spesso proposto questi colori su abiti, accessori e calzature.

Il giallo, esprime vitalità e felicità, è un colore forte e vivace usato da Fendi e Versace.

Questi sono solo alcuni dei tantissimi colori che rendono riconoscibile e iconico uno stilista, un abito, un oggetto.

Ma perché il colore è così fondamentale? Perché esprime sentimenti ed evoca emozioni. Ogni sfumatura, tonalità o gradazione di colore può avere un significato diverso.

Tutti noi abbiamo un colore preferito, un dettaglio che ci identifica. Il mio colore è il nero e il mio dettaglio gli occhiali oversize di Giorgio Armani. E il tuo?

 

Immagine coordinata: dubbi e perplessità…

Nonostante il mondo che ci circonda ci “travolga” continuamente con immagine, video, pubblicità, messaggi, molte persone sono ancora convinte che l’immagine sia un aspetto trascurabile dell’attività.

Mi sento di dire, invece, che l’immagine è il 90% dell’attività!

L’immagine e la grafica sono fondamentali. Partiamo da te: quando vai ad un appuntamento di lavoro ti vesti in maniera appropriata? Sicuramente non sarai vestito allo stesso modo di quando vai a bere una birra in un pub. Se incontri dei ragazzi per strada capisci immediatamente se si tratta di un gruppo di rockettari o se sono fan di Justin Bieber… perché  te ne accorgi? IMMAGINE.

Perché tendiamo ad esprimere quello che siamo e quello che facciamo in tutti i modi possibili e l’immagine è la prima via da cui passa questo messaggio.

Certo, l’aspetto estetico non definisce le capacità effettive di un professionista, la qualità dei prodotti di un artigiano o l’affidabilità di un’azienda, ma sicuramente incide in modo significativo sull’idea che le persone si fanno del professionista, artigiano o azienda in questione.

Questo non vuol dire che grazie (o per colpa) dell’immagine si possano vendere prodotti di scarsa qualità come se fossero il top di gamma, piuttosto che l’immagine può valorizzare e far comprendere a pieno le qualità o gli aspetti positivi di un prodotto.

Per esempio: “fino a domenica pan bauletto a € 0.99” oppure “solo nel nostro panificio artigianale troverai il vero pane pugliese fatto a mano e cotto nel forno a legna”. Chiaramente i due prodotti hanno aspetti positivi diversi: per uno il prezzo, per l’altro la qualità. Per questi due prodotti serviranno immagini ben differenti tra loro.

In conclusione, ogni prodotto-attività-servizio può essere valorizzato puntando sul suo aspetto migliore e costruendo un’immagine adeguata intorno ad esso.

Design e comunicazione visiva

Design e comunicazione visiva
Bruno Munari
Grafica
Laterza
2017 (6^ ed)
Copertina flessibile
370

Che cosa è la grafica? Chi sono i designer? Come funziona la loro logica creativa? Quale uso fanno delle tecniche e dei materiali? Un maestro del design italiano ha scritto il più divertente manuale per comprenderne i principi, le leggi e le possibili realizzazioni.

Design e comunicazione visiva – Bruno Munari.

“Bruno Munari (Milano, 24 ottobre 1907 – Milano, 29 settembre 1998) è stato un artista, designer e scrittore italiano.

È stato uno dei massimi protagonisti dell’arte, del design e della grafica del XX secolo, dando contributi fondamentali in diversi campi dell’espressione visiva (pittura, scultura, cinematografia, disegno industriale, grafica) e non visiva (scrittura, poesia, didattica) con una ricerca poliedrica sul tema del movimento, della luce e dello sviluppo della creatività e della fantasia nell’infanzia attraverso il gioco.” – da Wikipedia.

Ho iniziato a leggere un paio di giorni fa il libro “design e comunicazione visiva” di Bruno Munari ed ho notato quanto alcuni aspetti del mondo della grafica si ripetano costantemente nel tempo.

Il testo è forse un po’ obsoleto per quanto riguarda i mezzi e gli strumenti trattati: i calcolatori hanno appena fatto la loro comparsa e si parla di pellicole e vetrini, non di fotografia digitale ed post-produzione.

Ma c’è un concetto che è assolutamente attuale: l’idea di comunicazione visiva. Sono passati anni da quando il libro è stato scritto, sono cambiati i metodi di insegnamento, sono cambiati gli strumenti e le possibilità di imparare… ma la tendenza è sempre la stessa. Ovvero dimenticare perché è importante la comunicazione visiva: ogni cosa che vediamo è comunicazione visiva, seppur involontaria. Un’immagine, uno schizzo, uno scarabocchio, un simbolo, un gesto. Non importa come sia stato fatto e perché.

Con il passare del tempo e l’abitudine a svolgere un certo lavoro in un certo modo, perdiamo la fantasia, la voglia di creare e soprattutto interpretare. Non esiste bello o brutto, fatto bene o fatto male. Troppo spesso si cade nella trappola della convenzione estetica. Credo che sia opportuno prima di tutto rapportare la comunicazione visiva a ciò che si sta trattando e poi… osare!

 


Recensione Design e comunicazione visiva di Bruno Munari