8 Marzo – Festa della Donna
Ma sappiamo cosa vuol dire? Come ogni ricorrenza, è finita per essere una delle tante occasioni per uscire, “festeggiare” in chissà quale modo.
La Festa della Donna è, in realtà, la Giornata internazionale della donna, che ricorre appunto l’8 marzo di ogni anno e la sua funzione è quella di ricordare da un lato le conquiste sociali, economiche e politiche, e dall’altro le discriminazioni e le violenze di cui le donne sono state e sono ancora oggetto.
Successivamente è stata istituita un’altra giornata dedicata alle donne, il 25 novembre, per condannare le violenze che spesso sono costrette a subire.
Le due giornate, oltre al fatto di essere entrambi dedicate alle donne, hanno in comune il fatto di essere entrambe nate in determinati contesti sociali e politici.
Ora, trovandosi in accordo o meno con tali ideologie politiche, e senza trasformare l’argomento in un movimento sociale o politico, rimane un punto fermo: ci chiediamo mai quali siano effettivamente le disparità, le ingiustizie, le violenze di vario genere che una donna è costretta a subire? Evidentemente no. Evidentemente non è sufficiente una giornata per ricordarlo al mondo. Evidentemente non sono sufficienti nemmeno due giornate.
Le violenze possono essere di molti tipi: fisiche, psicologiche, di piccola o grande entità, visibili o invisibili, esplicite o nascoste. Ma esistono. Così come esistono le ingiustizie. Oh si che esistono! Ed è di queste che voglio parlare oggi, in questa giornata dedicata alle donne.
Da quello che ho potuto constatare finora, credo che i motivi per cui tutto ciò continua a succedere siano due: il primo motivo è la mentalità di chi – con grande ignoranza e, probabilmente, in modo spontaneo e quasi inconscio – continua a vivere nella presunzione di essere migliore (“Cosa vuoi fare? Sei solo una donna” “Se è arrivata fin lì chissà con chi è andata” “Puoi essere brava finché vuoi, tanto non basta…”). Ahimè questa è la maggioranza delle persone, tra cui anche alcune donne: è come se fosse un dato di fatto, talmente radicato nel pensiero comune da non poter più essere eliminato.
Il secondo motivo è da imputare unicamente alle donne: mancanza di coraggio (o scoraggiamento dopo svariati tentativi nel fare qualcosa), mancanza di determinazione, rinuncia. Sia chiaro: non voglio incolpare nessuno e, tanto meno, far sembrare il coraggio e la determinazione qualità di pochi, anzi! Credo che tutte abbiamo coraggio, tutte abbiamo determinazione, ma può capitare – dopo uno, due, tre, venti rifiuti o ingiustizie – che la rinuncia si faccia viva. Capita a tutte, prima o dopo, anche solo per un momento.
Dopodiché ci sono due possibilità: arrendersi al fatto che sarà sempre così e rinunciare, oppure arrendersi al fatto che sarà sempre così ma tentare di dimostrare il contrario.
E non vuol dire che ogni donna debba diventare dirigente di qualcosa o capo di qualcuno (una volta un professore chiese “Secondo voi parità vuol dire che una donna deve vestirsi come un uomo e dare ordini in un cantiere?” Risposta: “Se è ciò che vuole, per cui ha lottato, che ha conquistato con le proprie forze”). In ogni caso una bella soddisfazione, certo, ma apparente. Voglio dire, la maggior parte di coloro che assisteranno al successo di questa donna, avrà dentro di sé la vocina che ripete “Cosa vuoi fare? Sei solo una donna” ,”Se è arrivata fin lì chissà con chi è andata”, “Puoi essere brava finché vuoi, tanto non basta…”, indipendentemente che questi spettatori siano uomini o donne.
Di conseguenza, credo che ci sia un solo modo per arrendersi al fatto che sarà sempre così ma tentare di dimostrare il contrario: esserne consapevoli. Ognuna di noi sa esattamente cosa ha fatto per sé, per gli altri, per raggiungere un obiettivo, per dire “ce l’ho fatta”, e credo che questo sia sufficiente per riacquistare un po’ di quel coraggio, un po’ di quella determinazione, perché, prima di fare i conti con le vocine che ripetono le stesse cose da sempre, dobbiamo fare i conti con noi stesse. Perché non dopo “ce l’ho fatta” non deve mai esserci “si, ma a che prezzo”.
Sapete, dopo tutto ciò, a volte mi ritrovo a sperare che, continuando ad agire secondo questa convinzione, prima o poi lo si possa notare anche dall’esterno, che le vocine possano zittirsi, pur sapendo che ciò può succedere nei confronti di una minima parte delle persone: più colte, più sensibili o, semplicemente, con una maggiore esperienza.
Alla fine, diciamocelo, questa storia della parità è un’invenzione piuttosto recente, storicamente parlando. O meglio, è recente il fatto di dovere raggiungere la parità.
In passato – e parlo di molto tempo fa – esistevano popoli in cui donne e uomini erano assolutamente uguali: ognuno con i propri compiti, certo, ma non per questo uno inferiore all’altro. Come siamo arrivati a dover conquistare la parità? O meglio, riconquistare? Ci sono diverse teorie che tentano di spiegare questa evoluzione – o regressione – nella storia, ma resta il fatto che noi siamo qui ora e ci troviamo a fare i conti con una società che, consciamente o inconsciamente, ci ritiene ancora inferiori (un piccolo appunto: so che ci sono associazioni, singoli individui, movimenti di vario genere, che ogni giorno si muovono per cambiare le cose, e non posso fare altro che ammirarli; la mia visione pessimista è rivolta soprattutto alle piccole cose, alle situazioni di tutti i giorni in cui, prima o poi, ci troviamo tutte).
Sicché, continuando a considerare l’opzione più pessimista – cioè arrendersi al fatto che sarà sempre così – non ci resta che dimostrare il contrario. Per noi.
Per questo motivo, proprio oggi, ho deciso di parlarvi di UNA DONNA: Oriana Fallaci, una donna scomoda.
Si, una donna scomoda. Così si definisce lei stessa in uno dei discorsi contenuti nel libro Il mio cuore è più stanco della mia voce.
Conosciuta da tutti e in tutto il mondo. Apprezzata? Forse. C’è chi la ama e c’è chi la odia.
Ho scelto lei in questa giornata dedicata alle donne perché credo che sia un esempio notevole, quasi impareggiabile. Come sempre, si può essere d’accordo o meno con i suoi punti di vista e con i suoi giudizi, ma resta il fatto che non si è mai arresa, e credo rappresenti esattamente ciò che tentavo di spiegare poco fa.
Una vita in breve
Per chi non la conoscesse, ecco un racconto – sintetizzato e che, sicuramente non rende giustizia alla grandezza di questa donna – della vita di Oriana Fallaci.
Oriana Fallaci (Firenze, 29 giugno 1929 – Firenze, 15 settembre 2006) è stata una scrittrice (o meglio, uno scrittore, come lei stessa si definiva) e giornalista. Tra le altre cose, è stata la prima donna ad andare al fronte come inviata speciale.
Studiò al liceo classico e, in seguito, si iscrisse alla facoltà di medicina. Perché? Per conoscere le persone. In seguito passò alla facoltà di lettere e filosofia. Abbandonò gli studi per dedicarsi al giornalismo, collaborando dapprima con Il Mattino dell’Italia Centrale, in seguito con il settimanale Epoca e, infine, con l’Europeo.
Nel 1956 fu mandata a New York dall’Europeo e, in questa occasione, raccolse il materiale per il suo primo libro I sette peccati di Hollywood.
Nel 1961 realizzò un reportage sulla condizione della donna in Oriente, che diventò il libro Il sesso inutile. L’anno successivo pubblicò Penelope alla guerra, e un anno dopo Gli antipatici.
Nel 1965 pubblicò Se il sole muore, un’opera che dedicò a suo padre, raccogliendo interviste dei più importanti astronauti e tecnici della NASA.
A partire dal 1967 iniziarono i suoi reportage in Vietnam, durante i quali criticò indistintamente tutte le parti coinvolte nelle guerre, ma anche facendo notare alcuni episodi di straordinaria umanità.
L’esperienza in guerra fu tradotta in libro con Niente e così sia, un libro crudo quanto profondo, un racconto intenso, che tutti dovrebbero leggere.
Poi ci furono, in ordine: Quel giorno sulla luna (1970), Intervista con la storia (1974 – una raccolta di interviste a tanti dei maggiori esponenti sociali e politici della storia contemporanea), Lettera a un bambino mai nato (1975 – un’opera personale quanto universale, tragicamente realista), Un uomo (1979 – dedicato all’uomo che ha amato, morto difendendo un’idea), Insciallah (1979), La rabbia e l’orgoglio (2011), La forza della ragione (2004), Oriana Fallaci intervista Oriana Fallaci (2004), Oriana Fallaci intervista sé stessa – L’Apocalisse (2004 – è sostanzialmente Oriana Fallaci intervista Oriana Fallaci con alcune aggiunte).
Scrisse quindici libri, e altrettanti sono stati pubblicati dopo la sua morte, tra i quali vi consiglio senza ombra di dubbio Un cappello pieno di ciliege e Il mio cuore è più stanco della mia voce.
Ha rifiutato per tutta la vita la pubblicazione di una biografia, ripetendo che la sua vita era una storia soltanto sua; è stato comunque pubblicato Oriana Fallaci in parole e immagini, un libro che racconta la sua vita, non propriamente come una biografia, ma piuttosto con un insieme di scatti e di citazioni, interviste, e quant’altro.
Potrei andare avanti in eterno ad elencare tutto ciò che ha detto o fatto questa donna ma, piuttosto, vi lascio una sua frase:
“Dico quello che penso
e quello che penso
è ciò che la gente pensa
e quasi mai dice.
E quello che la gente pensa
e quasi mai dice
è la verità.”
Dopo tutto questo, mi ripeto nel dirvi che ho scelto lei come esempio di donna (vi chiedo di non farne una questione politica o ideologica), come punto di riferimento, perché questo è per me da tredici anni a questa parte… vorrei che potesse scrivere ancora.